martedì 30 dicembre 2008

Chi è il Presidente del Camerun?

Agdal. Un cafè tranquillo con un amico camerunense dopo l'estenuante festa dell'Aid Kabir. Chiaccherando del più e del meno si finisce a discutere di politica italiana. Senza farci troppo caso lo ascolto mentre mi cita con scioltezza uno dopo l'altro nomi di politici italiani, dai ministri di governo ai leader dell'opposizione. Qualche secondo dopo mi rendo conto che a fatica so dove si trova il Camerun, men che meno so quali siano i paesi con cui confina. Perfetta ignorante!! I telegiornali, i quotidiani e i giornali di informazione dei paesi africani riportano perennemmente notizie dai paesi europei. "Loro" sanno di noi, noi cosa sappiamo di loro? Mi permetto di lanciare un quiz a quanti leggeranno questo post: chi di voi sa come si chiama il Presidente del Camerun? O forse più semplicemente chi di voi sa dove si trova il Camerun?

pas d'alcool? on s'eclate quand meme!!

martedì 9 dicembre 2008

L'ora del papa re

Martil, ridente cittadina di mare alle porte di Tétouan ospita il convegno « Architettura e riabilitazione ». Quale migliore occasione, pensiamo, per ascoltare voci interessanti e informate sullo stato degli interventi architettonici in Marocco. Ale, il nostro amico spagnolo, è particolarmente interessato, e noi lo accompagnamo volentieri. La piazza che ospita la sede dell’associazione che organizza l’incontro è proprio vicina al mare, da un lato si erge un improbabile edificio su tre livelli colorato di bianco blu e rosso, dall’altro fa capolino l’imponente – quasi – sconsacrata chiesa barocca, nella quale si trovano i locali dell’associazione. Non appena entrati, Paco, il presidente dell’associazione, ci saluta calorosamente, il suo faccione si accende alla vista di facce simil-europee. Seguono presentazioni varie, durante le quali il tono della voce di Paco si fa a tratti insopportabilmente alto, e io, da ragazzo ben educato al sussurio dei luoghi sacri, sobbalzo, anche perché qualcosa mi dice che non siamo in un ambiente totalmente laico. Poco male, mi dico, anche perché questa sera ci sono ospiti illustri. Un famoso architetto di Madrid, l’eminentissimo signor Console di Tétouan e soprattutto l’egregio Marchese della Speranza. Giuro. Va bene, mi dico…per fortuna hanno invitato anche i rappresentanti delle associazioni marocchine che si occupano di riabilitazione architettonica, e soprattutto, mi dico, questo famoso architetto di Madrid sarà un grande conoscitore del Marocco, avrà lavorato al restauro della medina di Marrakech o di Tangeri. Il convegno sta per iniziare, mi aggiro per la sala, che ospita una biblioteca, e curiosando tra i libri in spagnolo, mi sento sfiorare da un signore di mezza età, capelli lughi e ordinati, cravatta rosabluverde, un grande anello d’oro al dito. Poco dopo scoprirò che si trattava del famoso architetto madrilegno. L’apparenza inganna - mi dico - e sicuramente questo signore impomatato ed elegantemente bizzarro ha risanato le baracche della periferia di Casablanca. Diamine, l’apparenza inganna, no ? Non sempre. Il famoso architetto è davvero niente male, è istrionico, e anche io, che capisco poco lo spagnolo, rido come gli altri alle sue battute al fulmicotone. Ci mostra diapositive dei suoi lavori. La prima è l’immagine di un villone stile californian-lecorbusiano, che apre quello che lui definisce il suo « periodo bianco ». Ci sarà un periodo nero - mi dico allora rinfrancato – in cui si sarà preso dieci insolazioni per seguire il cantiere di un progetto a Layoun in agosto, o si sarà gettato nel fango delle inondazioni dei quartieri bassi di Mumbai per dare indicazioni agli operai impegnati nella costruzione di case popolari. Niente di tutto ciò. Il gradevole slide-show continua, e scorrono sullo schermo bellissime foto di uffici a Salamanca, musei a Barcellona, caserme a Madrid. Vabbé, almeno era simpatico, penso. Prende la parola il rubicondo Marchese della Speranza, e in quel momento sono stato davvero contento di non avere un livello di spagolo sufficente a comprendere le sue sconclusionate parole sull’aeroporto di Madrid che ti fa passare la voglia di viaggiare, o su quella volta che dopo aver chiacchierato amabilmente con due belle signore ha scoperto che le due avvenenti giovinette erano in realtà delle prostitute. Durante le risate forzate del pubblico, in gran parte marocchino, ci guardiamo interdetti e decidiamo di alzarci ed uscire, per una pausa di riflessione. Non siamo più tornati dentro la chiesa quasi sconsacrata. Meglio passeggiare per la ridente Martil, ci siamo detti.

venerdì 5 dicembre 2008

Stazione Casa Voyageurs

Ore 1815. Binario 1. Aspetto il treno per Rabat. Mi guardo intorno: un affascinante uomo con barba lunga, giallaba e figlioletta in braccio, quattro adolescenti che non smettono un secondo di parlare degli ultimi modelli di automobili, parecchie ragazze tiratissime, in gonna e stivali, ovviamente svelate, famiglie cariche di valigie e borsoni di plastica, colmi fino all'orlo, una coppia di lesbiche, un marito in stampelle con moglie ninja e due figlioletti disobbedienti: panorama curioso questa stazione!

Donne donne e ancora donne

Atelier di cucina a Khouribga. Mi sento in paradiso in mezzo a quantità industriali di biscotti. Impasto, tento di dar forma a delle palline e infilo l’arachide nella pallina. Questo è essenzialmente il compito affibiatomi. Al di là di ciò, tento di raccogliere storie, parole di donne rientrate in Marocco volontariamente o involontariamente. Gli aneddoti si sprecano: c’è chi è tornata perché illegale in Italia, denunciata da una sua connazionale in seguito ad un litigio di ordinaria convivenza; c’è chi invece in Italia non c'ha mai messo piede, perché bloccata in alto mare dalla guardia costiera e rispedita immediatamente in questo angolo di terra dimenticato da dio; c’è chi non mi racconta i dettagli della vita in Italia, ma dalle sue parole capisco che non dovesse trattarsi di una vita troppo “rispettosa”, mi racconta che è tornata perché dopo quasi due anni era stufa di vivere sola, lontana dalla famiglia; c’è chi invece in Italia ci sarebbe rimasta volentieri ma che ha subito la decisione del marito che con la scusa delle vacanze, l’ha portata in Marocco e ce l’ha lasciata con le due bambine portandosi via il permesso di soggiorno. Donne dagli occhi grandi, dagli sguardi profondi, che a volte si perdono e si velano di tristezza, dalla risata facile e dal contatto fisico immediato. Ma anche donne vipere, o più semplicemente scafate: uscendo dalla cucina una ragazza che ancora parla benissimo italiano mi ferma e mi dice:” Non ascoltarle, qui le donne raccontano un sacco di bugie.” Mi riprometto di raccogliere tutte queste testimonianze “con le pinze”. Ma la sensazione è forte, con chili di biscotti in stomaco e con il freddo che entra nelle ossa, penso alla complessità dell’universo femminile e mi ci riconosco in pieno.

venerdì 21 novembre 2008

Incontri con Rachid Nini

Il mio primo incontro con Rachid Nini ha coinciso con l’arrivo a Rabat delle piogge torrenziali che già nelle settimane precedenti avevano devastato varie regioni del Marocco e che hanno continuato a fare danni e vittime in quelle successive. La prima chiacchierata, come tutte le successive, ce la facciamo nel bar “della francese” con vista sul Parlamento. Dal secondo piano possiamo osservare dall’alto il via – vai mattutino dell’Avenue Mohamed V. Nini mi dice che gli piace questo punto di osservazione, qui viene a fare colazione ogni mattina prima di prendere il treno dei pendolari Rabat - Casablanca che lo porta alla redazione di Al-Massae. “Sono dei treni italiani. Appena posti sulle rotaie, sono iniziati i guasti. Perché sono treni pensati per distanze metropolitane e qui vanno su e giù coprendo distanze di 100 kilometri, e poi le istruzioni sono solo in italiano”. La conversazione, incontro dopo incontro, scorre. Si parla di Marocco, di migrazioni, di letteratura. Parliamo del suo libro “Diario di un clandestino” naturalmente, mi dice che fa fatica a definire a che genere può appartenere. E’ un racconto giornalistico, che non ha la struttura ma piuttosto lo spirito di un diario. E’ una raccolta di osservazioni quotidiane con momenti di poesia, di riflessione intima che lui definisce sorridendo “Eredità di un giovane irrequieto”. Rachid Nini mi dice che adora la letteratura di viaggio, “una letteratura che ha bisogno di molta immaginazione”, immaginazione del viaggiatore - testimone che non può fare a meno di arricchire la realtà che si trova davanti. Proprio in questi giorni, mi dice, si sta divertendo a leggere i resoconti di viaggio di un “inviato” marocchino in Francia, racconti ottocenteschi. L’osservatore marocchino, di fronte alle enormi fontane parigine, lo spreco d’acqua gli sembra assurdo se pensa ai problemi di aridità di molte regioni del suo paese. Torniamo al suo libro, alle migrazioni marocchine verso la spagna, verso l’Italia. La migrazione verso l’Italia è iniziata quando lui era al liceo. Molti suoi compagni hanno lasciato gli studi per partire. All’epoca si entrava in Italia senza visto, il problema era piuttosto ottenere il passaporto per lasciare il paese. “Se tutti avessero avuto il passaporto, il paese si sarebbe svuotato e il re aveva paura di restare tutto solo nel suo regno”. Nini mi dice che aldilà delle questioni economiche, sociali, i marocchini hanno la migrazione nel sangue. Qui sono arrivate onde migratorie, secolo dopo secolo. E se c’è che si è fermato, bloccato dai mari tutto intorno, c’è anche chi ha sfidato e continua a sfidare questa barriera. Per desiderio di movimento, per andare oltre. Tra un incontro e l’altro è piombato su Al-Massae il verdetto della giustizia marocchina per un’accusa di diffamazione. Un errore dal punto di vista della deontologia professionale ma sei milioni di dirham (a tanto ammonta l’ammenda) equivalgono a condannare il giornale alla chiusura. “Il fatto è che quando un giornale indipendente supera di molte lunghezze la tiratura di qualsiasi organo d’informazione governativo, inizia a far paura e va fermato”. In maniera forse un po’ naif commento che mi sembra controproducente, per il potere stesso, mettersi apertamente contro una delle voci più ascoltate del paese. “E’ la strategia migliore per uccidere la speranza della gente”. La mancanza di speranza, di fiducia dei marocchini nel proprio paese, nelle possibilità che può offrire torna e ritorna, che sia nei discorsi dei giovani e sui giovani delle regioni che espellono oggi il maggior numero di migranti (Beni Mellal), o nelle botte e risposte del governo e delle forme di informazione indipendente. Nonostante la sfiducia, le manifestazioni di sostegno ad al-massae sono forti, manifestazioni, sit-in, lettori disposti a pagare un po’ più di 2,5 dirham perché il giornale resti in vita. Evidentemente i marocchini “apprezzano un’informazione indipendente, in cui la notizia è chiaramente distinta dal commento personale, dall’opinione del giornalista, apprezzano un giornale nelle cui rubriche chiunque può esprimere il proprio punto di vista, a prescindere dal colore politico in cui si riconosce”. Camminiamo verso la stazione. “Ti sembra normale che i lavori di riqualificazione della stazione centrale della capitale di un paese durino anni e anni?”, “Vedi gli operai che lavorano sul cantiere? Ora portano i caschi di protezione, fino a qualche mese no, prima che scrivessi un articolo su questo” “Ti sembra normale che gli operai di un cantiere accanto al parlamento lavorino senza rispetto delle condizioni di sicurezza?” Sarà populista, vero è che Rachid Nini sembra non staccare un attimo l'occhio critico dalla realtà che lo circonda. Rachid Nini è il direttore di Al-Massae, il quotidiano più letto in Marocco. Nel libro “Yawmiyyat muhajir sirri” (diario di un clandestino) racconta i suoi tre anni in Spagna da migrante irregolare. Il diario è tradotto in spagnolo, io lo sto traducendo in italiano.

Il guardiano di Sharea Suisra

Vado a comprare il tonno e la carta igienica da quello che oltre ad essere il nostro epicier di fiducia, è anche il maggiore interlocutore locale di questi mesi a Rabat. Si chiama Abdessalam, ventottenne di belle fattezze, ma soprattutto simpatico umorista e perfetto insegnante di dialetto. Nel mio darija zoppicante tento di raccontargli i giorni trascorsi a Beni Mellal e senza farci caso rimaniamo soli nel negozietto. Ed ecco che improvvisamente fa il suo ingresso il temibile guardiano di Sharea Suisra, un vecchio che ogni sera dopo una certa ora si sistema su uno sgabello davanti al ex Caffé Cappocino (!). Armato di radiolina e bastone, verosimilmente dovrebbe controllare la “pericolississima” zona in cui viviamo. Entra, fa un giro -praticamente su se stesso viste le dimensione dell’epicerie- guarda Abdelsalam in modo severo e se ne va senza proferire parola. Ashuma,sia mai che questi due giovani covino pensieri impuri... Abdessalam se la ride, io invece sento le guance arrossirsi, come se m’avessero beccato a fare chissà quale marachella. Saluto schiscia, salgo i quattro piani di scale pensando fino a che punto può arrivare il grado di controllo sociale. Beh significa che dovrò imparare a civettare in maniera più discreta.

Buena Practica

Ennesimo convegno sulle migrazioni. Ascoltiamo atterrite l’intervento di un giornalista marocchino Said Jdidi che racconta quello che a suo parere, è un esempio di BUENA PRACTICA nella gestione dei flussi migratori: la migrazione circolare delle donne marocchine impiegate in Andalusia nei campi di fragole. Entusiasta afferma che oggi è facile per le donne emigrare in maniera regolare e trarre un gran beneficio da questo tipo di migrazione. Peccato che si sia dimenticato di aggiungere particolari meno esemplari come il fatto che la selezione delle operaie avvenga sulla base del loro status di famiglia: sono assunte solo donne sposate, con figli, possibilmente ancora piccoli. Questo per assicurarsi che esse non tentino di rimanere in Spagna clandestine una volta esaurito il contratto di lavoro. Parla di redditività delle donne come di una qualità rispetto alle migrazioni, come se queste non fossero altro che braccia da lavoro. Donne date in prestito dal Marocco alla Spagna perché lavorino tot mesi all’anno lontane dalle famiglie e perché rientrino testa china in patria: un concetto molto discutibile di buona pratica.

sabato 8 novembre 2008

Trenitalia e i tunisini

La settimana scorsa, seduta sul treno diretto a Venezia, il mio sguardo è caduto su un cartellone pubblicitario con la faccia di un giovane in bianco e nero che spalanca occhi e bocca in segno di incredulità. Distratta inizio a leggere il testo sotto la foto. E mi rendo conto che è tutto francese - prix réduits vers la Tunisie, e una tabella con i costi del trasferimento di denaro. È una campagna della Western Union, i vagoni di Trenitalia ne sono tappezzati. Ma... sono rimasta un po' perplessa a rimuginare. Cioè, tutta Trenitalia, che di solito pubblicizza le vacanze nelle Marche o gli spettacoli all'Arena di Verona, è zeppa di cartelloni privi di interesse per il cittadino medio italiano, anzi per molti certamente incomprensibili perché scritti in francese.

In Tunisia da dieci mesi sono in corso proteste sindacali, la repressione ha portato a censure, arresti, torture, morti (il rapporto di ottobre di Fortress Europe gli dedica un articolo). Da luglio guardo il TG o leggo il giornale ogni giorno, ma non ho mai trovato nulla sulla situazione politica tunisina. Ma toh - Western Union e Trenitalia insegnano quanto sia facile dedicare un po' spazio alle preoccupazioni degli immigrati - quando è possibile ricavarci dei soldi (e che soldi).

mercoledì 5 novembre 2008

I molteplici usi del Corano

Volo Ryanair: Fés-Bergamo. Mi si siede accanto un ragazzone con la faccia ingrugnita. Durante il volo non distoglie un attimo lo sguardo dal mini Corano che tiene tra le mani. Osservandolo, mi perdo nei pensieri … “perché non legge un bel romanzo? Magari è un fondamentalista… beh sicuro è un fissato, certo che non mi è mai capitato di vedere la stessa cosa con la Bibbia, oddio con che dedizione legge…” A guardare bene mi rendo conto che sembra un po’ nervosetto; si alza più volte per andare in bagno. Approfitto di un suo momento di distrazione per chiedergli l’ora. Mi risponde una voce dal marcato accento veneto, padovano per l'esatezza. Viene da Beni Mellal (dove tutto sembra avere origine), vive con la famiglia in provincia di Padova da 12 anni, ha fatto le scuole in Italia e ora lavora come meccanico, anche se il lavoro scarseggia. Mi confida che se la fa sotto ogni volta che sale in aereo. Gli rispondo che avevo notato una certa tensione. Lui osserva il Corano e sorridendo, mi dice che leggere per lui ha più o meno lo stesso effetto del Tavor, lo assorbe completamente facendogli dimenticare di essere sospeso nel nulla. Arriviamo a destinazione. Lo saluto lasciandolo in coda ai controlli di polizia. Il mio passaporto italiano gode di un largo anticipo rispetto ai passaporti marocchini.

....i cani e gli italiani

Quando abbiamo trovato l’appartamento in cui stiamo abitando, i proprietari di casa hanno espresso il desiderio di conoscerci. Ci ha aperto la porta un'imbarazzata donna in pijama che è subito corsa a coprirsi con una sexy vestaglia in pizzo…

Seduto sul divano, davanti ad una tavola imbandita per una merenda post ramadan, ci aspettava suo marito. Un distinto signore marocchino che aprendo bocca ci ha lasciate basite: mancava sola il “pota” alla fine della frase che avrei potuto tranquillamente scambiarlo per un bresciano. Cami invece riteneva fosse un accento tipico del Trentino.

Il messaggio è stato chiarissimo (?!) : Driss, così si chiama il signore marocchino-bresciano, si è limitato a ripetere più e più volte che non vuole problemi (problemi ossia donne italiane con giovani marocchini... hashuma!).

Poi si è dilungato in racconti della sua carriera in Italia, di come ora stia aprendo un noleggio di auto su Rabat, su come si sia fatto da sé...da modesto operaio a brillante imprenditore...chissà un giorno Presidente Operaio...

Forse fra qualche anno si avvererà la profezia di Fellagh, migreremo in massa verso il Maghreb e troveremo cartelli affissi alle case: “non si affitta agli extra-maghrebini” o magari dovremo supplicare amici marocchini perché facciano da intermediari per noi con qualche proprietario razzista.

venerdì 31 ottobre 2008

Rabat - Beni Mellal

Sotto il diluvio universale riesco a saltare al volo su un autobus Rabat Casablanca, poi sul secondo Casablanca Beni Mellal. Mi metto a leggere, l'autista ha una guida a dir poco sportiva ... urla, strombazzamenti, discussioni con chiunque gli capiti sotto tiro. Fa sorpassi azzardati ... in uno di questi ci strusciamo contro un camion che viene nella direzionIl pazzo cpntinua a guidare finché non viene ricondotto a ragione dai passeggeri urlanti. Nessuno si è fatto male, ci fermiamo due secondi a buttare giù completamente il finistrino e poi si riparte. Il mio vicino è un laurenado in medicina che sta facendo la pratica a Oued Zem ... all'ospedale i medici scarseggiano e lu isi è fatto spedire lì così può fare duecento guardie al mese ... tutta esperienza. Parliamo della città che pare sia famosa per la bellezza delle donne (altro motivo per cui l'ha scelta), della quantità di casi di donne vittime di violenza che accoglie ogni giorno, di politica (dice che vuole entrare in un partito perché basta coi vecchi). Le chiacchiere mi distraggono dalle fermate interminabili. Ci si ferma per cercare di coprire il buco con un plasticone che dopo tre minuti servirà solo a trasformare l'autobus in una barca a vela. Ci si ferma perché l'autista si mette a litigare con i bigliettai di una stazione, ci si ferma perché ci ferma la polizia. I passeggeri si dividono in chi se la fa prendere male e discute, urla, impreca contro l'autista e che se la fa prendere bene e ride, ride, ride. Ho pensato che era meglio adottare il secondo approccio e mi unisco alle risa ... perché é tutto troppo surreale. Arriviamo a Beni Mellal dopo sette ore di viagio, guadando i fiumi d'acqua che escono dai campi e invadono le strade. Sono arrivata sana e salva, sono felice ... se non fosse che mezzo Marocco è sotto un'acqua ...che non è normale, che distrugge villaggi e fa morti.

giovedì 30 ottobre 2008

Giusto per dare un'occhiata

L'autobus Beni Mellal Rabat è stracolmo, aria condizionata a palla, mi tolgo tre dei sei strati di vestiti con cui ho fatto fronte al gelo di questi giorni. Mi siedo e mi addormento felice di tutto questo improvviso calore. Al risveglio, mi ritrovo spiaccicata e semi sbavante sulla spalla del mio vicino ... per fortuna è un pischelletto che mi sorride e non un barbutone traumatizzato. Iniziamo a chiacchierare ... per quanto possibile con i miei limiti linguistici e il suo accento mallalino forte forte. Gli chiedo se studia, se lavora, mi dice che no ... che partirà presto per l'Europa. Nel 2005 per tre volte è salito su una barchetta diretta in Spagna e per tre volte la polizia lo ha rimandato indietro. Ha pagato più di mille euro il primo tentativo, un pò meno gli altri due. Mi dice "Sono stato sforutnato in un senso, ma fortunato nell'altro se pensi a tutti gli uomini e le donne che muoiono in mare". Mi sembra assurda la tranquillità con cui mi racconta queste sue storie ... evidentemente sono storie "quotidiane", un pò di tutti. Suo padre e suo fratello sono partiti così e ora lavorano ad Almeria, la maggior parte dei sui amici sono tra Spagna e Italia. Gli chiedo se proprio non si trova lavoro a Beni Mellal ... mi dice che il lavoro lo può trovare, che non vuole partire per il lavoro, vuole partire "per vedere com'è laggiù, per dare un'occhiata"!!! Insomma per lo stesso motivo per cui io prendo un aereo e vengo in Marocco e mi guardo intorno. A Beni Mellal ho incontrato giovani spagnoli, giovani marocchini che lavorano per sensibilizzare altri giovani sui rischi della migrazione clandestina, per fare formazioni professionali, perché ci sia fiducia nelle possibilità che il Marocco può offrire. Ora ... questo va benissimo ... perché un paese non si può svuotare di tutti i suoi giovani. Ma, d'altra parte, perché i ventenni marocchini non devono essere curiosi? Perché a noi ventenni dell'altra sponda del Mediterraneo ci spingono in tutti i modi a spostarsi, a imparare duecento lingue, a prendere borse e rimborsi per andarsene in giro per il mondo? Perché noi possiamo essere curiosi e loro no? Perché io posso stare con il naso appiccicato ai finestrini degli autobus che mi portano in giro per il Marocco e Driss non può attacare il proprio naso ai finestrini spagnoli, italiani, francesi ?....

sabato 18 ottobre 2008

Rabat - 15 minuti di "Marock"

Nel 2006 "Marock" è stato il film più visto nelle sale marocchine. E' un ritratto della gioventù casablanchese francofona e riccona, che beve, fuma, va in discoteca, corre in macchine superfiche, vive in ville stratosferiche. Il livello di approfondimento a me è sembrato quello delle "muccinate" ma mi ha comunque regalato uno spaccato di una realtà a me ignota ... almeno fino a ieri. Seguo un corso di "Antropologia del corpo" all'università di Rabat. Ieri, finita, la lezione, mi stavo facendo due chiacchiere con una compagna di corso, Siham. Usciamo dai cancelli dell'università e lei mi presenta un gruppetto di suoi amici. Stanno lì fuori ad aspettarla, intorno ad un bolidone rosso fiammante che trema per il volume della musica. Si propongono di accompagnarmi a casa. Accetto, per quanto terrorizzata dalla velocità che il bolide può raggiungere, soprattutto se alla guida c'è un pischello di vent'anni, riccioli neri ingelatinati e mesciati di biondo. Parla spagnolo, è nato lì, si sta facendo due mesetti di vacanza marocchine ... per fare il ramadan, per stare un pò con gli amici del bled. Accanto a lui, un suo coetaneo in canotta (tra i primi uomini marocchini che vedo in canotta) che mi chiede se ho fatto il ramadan! Mi consiglia di provarlo almeno una volta nella vita. Siamo in quattro nel sedile posteriore. Io, siham e due sue amiche. Una di loro mi inizia a snocciolare nomi di posti italiani che ha visitato qualche anno fa, quando è andata a trovare parenti che vivono lì ... Roma, Venezia, Firenze, Capri(!). Il guidatore deve essere il fidanzato di Siham ... per tutto il tragitto lei gli passa le dita tra i capelli, gli appiccica grandi baci sul collo, gli fa il solletico. Io sono un pò impietrita ... sarà la paura che con tutte queste smancerie lui perda il controllo del bolide, sarà questo inaspettato quadretto di scioltezza adolescenziale ... sarò che tra questi mi sento la nonna abelarda. Arriviamo sotto casa mia, mi dicono che se voglio raggiungerli nel pomeriggio, loro stanno a surfare nella spiaggia sotto la Kasbah ... Sì vabbé ...ciao. Insomma ... i miei 15 minuti di Marock.

domenica 5 ottobre 2008

Rabat - Scontrini

Rabat. Seduta al Café du Marché, cornetto e café noir. Vado a pagare e noto con piacere che hanno una cassa, gioisco per la prospettiva di ottenere il primo scontrino marocchino che potro' sventolare sotto il naso di quelli dell'ufficio rimborsi. Pago 10 dirham e rivolgo la richiesta al "cassiere" che rimane un po' stupito, ma piano piano... un tasto alla volta, batte le mie consumazioni.
Guardo lo scontrino ... 50 dirham ... manco fossi seduta davanti a Fontana di Trevi! Guardo le voci:
5 caffé latte 2 bicchieri di the 3 cornetti 1 caffé nero ... saranno le consumazioni dei dieci clienti precedenti. Non credo che mi rimborseranno mai 50 dirham per una colazione. So gia' che questa storia di tutta la documentazione fiscale da produrre per ottenere il rimborso di questi tre mesi marocchini sara' una rogna di dimensioni inaudite. Se chiedi uno scontrino la gente ti guarda come se fossi un agente di polizia che chiede di mostrargli idocumenti!

giovedì 18 settembre 2008

Un tetto a Zeitun

Non pensavo sarebbe stato così facile!
È bastato intravedere una ragazza dalla faccia simpatica in una teleboutique. Aspettare che uscisse e seguirla, prima con lo sguardo, poi, quando si avvicina alla porta della casa di fronte, con qualche passo titubante. Ed ecco che alla porta si affaccia Lella Fatima. Faccia molto piacevole anche lei. Si scambiano due parole, poi il loro sguardo cade sulla strampalata ragazza un po' fuori posto inchiodata ad una distanza poco compromettente, con uno sguardo in cui si mescolano barlumi di speranza e una pretesa noncuranza. Per fortuna Lella Fatima prende in mano le redini della situazione. “Bghiti shi haja”, cerchi qualcosa? ... Direi di sì. “Ehm, … una stanza?” E la risposta della nostra cara Fatima preannuncia un mese meraviglioso di vita in quello che era il suo ripostiglio sopra i tetti di Zeitun.
Ripenso alla quantità di camicie sudate cercando case a Trieste, durante l'università. Caparre, inventari, contratti, ritrattazioni ... com'è bello stare a Zeitun!

I mille e un semsar

Fine maggio, stanno per arrivare i ragazzi dall’Italia, una stanza non basta più. Oltretutto la presenza di maschi estranei in una casa di sole donne non è conciliabile con il codice morale - pensiamo - eppure saranno proprio la nostra Lella Fatima e le ragazze del piano di sotto a proporci di restare, compagnia maschile inclusa. È sempre bello quando qualcuno scombussola le linee rette dei propri schemi mentali nitidamente tracciati. In ogni caso è vero che cercare una casa in cui instaurare un’allegra convivenza mista tra sessi significa complicare le cose. Ci rivolgiamo dunque a un semsar, un intermediario. Una figura che si occupa di trovare una casa rispondente alle esigenze del richiedente aiuto in cambio di un contributo economico più o meno consistente.

Palermo!

Il primo semsar è un signore magretto e sdentato che gira in bicicletta. Lui, ci spiega, può aiutarci: di fatto, la sua specialità è quella di trovare una sistemazione per studenti dell'Africa subsahariana ed europei. Ma sul bel tetto propostoci vive anche la figliola dei proprietari. Per dissipare eventuali scrupoli della rispettabile padrona di casa il nostro semsar dichiara che gli uomini attesi sono parenti ... tra cui un fratello che vive a Palermo. ... ?! ... Ma certo! Con Palermo, che è anche uno snack marocchino dolcissimo e onnipresente, il nostro acuto semsar vuole dissolvere ogni perplessità ricorrendo al subconscio senso di familiarità evocato dal nome del cioccolatino. La padrona si fa intenerire, ma la prospettiva di un Giacomo costretto a fingersi siculo e fratello per un mese ci fa desistere da questa prima soluzione.

Un miraggio

Chiediamo aiuto a Lubna, la promessa sposa del fratello di Fatima. Ci porta da un altro semsar: un vecchietto scorbutico ma con un asso invincibile nella manica. Una casa tutta nuova, a tre piani, con terrazza sul tetto e WC con tazza, compreso di tubo per la doccia! Un lusso improbabile in gran parte delle case marocchine. Faccenda interessante. Iniziamo le trattative. Il semsar si fa tradurre il mio arabo marocchino da un giovane marocchino e lo ripete in marocchino al padrone di casa - marocchino. Dopo qualche discussione con lo scorbutico, che chiede una paga equivalente a un terzo dell'affitto, vado a prendere i soldi per concludere l'affare. Sento balzare il mio cuore ... che casa bella, e tutta per noi! Tornando ritrovo il semsar da solo. È giunta la notizia che il figlio del padrone sta tornando dalla Spagna con moglie e figli ... e dunque si capisce ... dovrà pur essere sistemato in una casa decorosa ...

Esilarante e bruciato

Lubna mi porta da un terzo semsar. Chiunque lo cerca lo può trovare nel caffè all'angolo di Zeitun. Nonostante i segni evidenti di una passata ustione in viso sa ridere di gusto quando gli spiego i miei problemi. "Cerco una casa, siamo due maschi e due femmine", "ah-ha-ha", mi propone una casa, "quanto costa", "parecchio, ah-ha-ha", "ah, e Lei?" Si sconquassa dalle risate. Il suo prezzo equivale a metà dell'affitto. Scaltri, questi semsar. Ma la casa che ha da offrire, scopro, non si trova a Zeitun: non se ne parla neanche! Anche se mi dispiace non poter concludere affari con un uomo tanto spassoso.

Un sorso di laban

Vago depressa per i vicoli di Zeitun. Siamo a fine mese e della casa nuova ancora non c'è traccia. Ma ho sottovalutato la disponibilità impareggiabile degli zeitunensi. Girandolando sono finita sotto la prima casa, quella del Palermo, per intenderci. La guardo con aria sognante. Due ragazze mi notano, chiedono se serve aiuto. "È che cerco una casa." La risposta mi stupisce: "Solo per ragazze o mista?" A quel punto andiamo allo scoperto. Mista. "No, guarda che qui le case miste non esistono." "Ah, ok, no, infatti." Alla fine decidono di fare comunque un tentativo; magari in una casa con soli maschi il fatto che entrino anche due donne non disturba quanto il contrario. Andiamo a suonare alla porta di fronte. Il padrone non c'è, devo tornare più tardi. Un'ora dopo, non ricordo qual'era il campanello che devo suonare. Ma le ragazze, che abitano lì accanto, fanno segno dalla porta, mi accolgono con baci e abbracci e mi invitano in casa loro in attesa della risposta. La casa è inondata d’acqua, è il giorno delle pulizie, ma mi fanno accomodare sul letto con grandi onori e mi offrono un bicchiere di laban squisito. Dopo mezz'oretta di chiacchiere animate che mi hanno fatto scordare il motivo della visita squilla il telefono: è il padrone di casa. Niente convivenze miste in casa sua. Ma di certo è valso la pena aspettare.

L'attivista

Questa parte della ricerca è stata, per ovvi motivi, quella più piacevole. Per spiegare il perché ci vuole un piccolo excursus. L'attivista, del quale non abbiamo mai saputo il nome, è un personaggio che per un motivo o l'altro si distingue nel paesaggio di Zeitun. Giovane, piacente e con un non so ché di intrigante nel suo aspetto, nel portamento e nel suo modo di stare assiduamente fermo in un punto nevralgico di Zeitun, sempre da solo, ma apparentemente in attesa di qualcuno o qualcosa. La nostra curiosità cresce quando lo incrociamo casualmente in una tabaccheria di Rabat. Di ritorno a Zeitun, iniziamo a salutarlo timidamente con un cenno quando lo incrociamo. Dopo un po', Camilla prende coraggio e gli rivolge la parola. Scopre che è uno dei tanti laureati disoccupati in Marocco, e fa parte di un movimento che rivendica il diritto al lavoro. Ora siamo conoscenti, evviva! Torniamo alla disperata ricerca di una casa per indecenti convivenze miste. Uscendo dalla casa delle mie nuove amiche del laban, incrocio il bello e misterioso attivista. Per avviare una conversazione, do sfogo alle mie preoccupazioni per la sfortunata ricerca di casa. Mi saluta con la promessa di farmi sapere se dovesse avere notizie di qualche casa libera. Due ore dopo, mi sto ancora aggirando per Zeitun decisa di tornare dal semsar scorbutico per sentire se ha nuove proposte, il nostro attivista mi insegue senza che me ne accorga. Quando mi raggiunge ha il fiatone per la corsa. "Scusa, non sapevo il tuo nome quindi non potevo chiamarti, ma insomma, ho sentito di una casa in affitto!" La gentilezza disinteressata in cui mi imbatto continuamente a Zeitun mi scompagina ogni volta. La bella presenza del giovine fa il suo. Mi accompagna. Non c'è la padrona. Quando torno il giorno dopo mi confessano che la convivenza mista è un problema. Non fa niente, è stato un gran piacere!

Ancora lo scorbutico

Sono sconsolata. Non mi resta che ritentare la sorte con lo scorbutico. Torno da lui, che mi scorge da lontano e mi fa segno di andare di avvicinarsi. Mi propone una nuova casa: una stanza doppia, lo spazio antistante da adibire a seconda stanza, con cucina da condividere con la padrona che abita al piano superiore. Ci penso. Più tardi esprimo la mia perplessità rispetto al fatto che la cucina in uso comune si affaccia proprio su l’androne che sarebbe camera mia e di Alberto. Ma non c'è problema senza soluzione per il nostro vecchietto: "Non ti basta una stanza? Non c'è problema, fate un cambio di piano. La padrona con i figlioli traslocherà dal piano superiore (tutto bello arredato, con due stanze e un grande salone) a quello di sotto!" Una tale invasione mi pare veramente troppo. Sono contenta che la padrona di casa non ci sia quando il semsar vuole proporle questo folle scambio.

L'aggiustativù

Torno a casa a mani vuote. Per fortuna è tornata Camilla da Fez. Insieme esponiamo i nostri guai a Lubna e alle ragazze del piano di sotto di casa nostra. Tutte si spremono le meningi per darci consigli: saltano fuori nuovi semsar e numeri telefonici, oltre alla proposta di rimanere in casa, non si scandalizzerebbero per la presenza di un uomo, nello stanzino sul tetto. Ma prima tentiamo la sorte per l'ultima volta: c'è un semsar proprio di fronte a casa, che quando non intermedia ripara televisori. Il primo appuntamento per visitare una casa fallisce perché il passaggio all’ora legale ha scombussolato tutti, me compresa. Al secondo tentativo il padrone si tira indietro dopo avermi squadrato, forse per la questione della convivenza mista.

Dalla quiete dei tetti ... al bailamme della strada

Il terzo tentativo va meglio – incredibile, è la casa proprio a fianco di quella di Fatima, la nostra attuale! È al pianoterra, grande e indipendente. Tutta per noi. E promette una vera immersione nella vita della strada, venditori ambulanti, bambini chiassosi, mandrie di pecore che passano, gente che chiama gli amici del quarto piano a voce, tutto alla finestra di camera nostra! Che emozione. Ancora un po' di suspense: quando stiamo per dare la conferma vediamo il padrone intento in discussioni con due uomini. Cercano una casa per sei mesi, noi per uno o due, ovviamente il padrone darebbe la precedenza a loro. Timorose aspettiamo l'indomani. I due interessati non si sono fatti vivi. La casa è nostra!

martedì 5 agosto 2008

Italiche novità

I benefici del ritorno in Italia cominciano timidamente a farsi sentire...
grazie alla sapienza informatica dell'amico Guido è finalmente disponibile l'audio del post "Sveglia"! Lo trovate scorrendo la pagina in giù, data 15 luglio... Rileggetevi l'articolo ascoltando i suoni, sarà tutta un'altra cosa!

domenica 3 agosto 2008

Viaggi/ Ventiquattro ore su ventiquattro

Su un tetto di Chefchaouen aspettiamo che i muezzin chiamino alla preghiera del mattino.

Quattro meno un quarto, meno dieci, meno cinque ... ecco il primo canto che sale da uno dei villaggi della valle, pochi chilometri da noi. Manca ancora qualche secondo per i muezzin di Chefchaouen.

La preghiera non segue il fuso orario, non si conta da Greenwich, ma dal sorgere del sole, che cambia in ogni città in ogni paese. A Oujda (est Marocco) ci si sveglia prima che a Rabat per la prima preghiera della giornata. Nel paese a est di Chefchaouen prima che a Chefchaouen. Così ci spiega Anouar, il nostro albergatore. “Ci sono musulmani in ogni angolo della terra, con questo sistema si alzano lodi e canti a Dio ventiquattro ore su ventiquattro”.

Il muezzin inizia a chiamare dal minareto ottagonale ornato da luci psichedeliche. Anouar fa l’ultimo tiro di hashisha alla mela e si sdraia. Chiude gli occhi, non prega ... o forse sì. Si lascia cullare dal canto e si addormenta. Il paese è immerso nel silenzio più totale, si sente solo il muezzin e le prime porte che si aprono cigolando.

sabato 26 luglio 2008

Facans

Quando sono arrivato in Marocco cercavo di capire di quale città fosse la macchina che mi passava davanti guardando la lettera araba riportata sulla targa, alla fine annoiato dal gioco, ho smesso di farci caso.

Negli ultimi giorni però è diventato più facile capire l’origine delle automobili. La stragrande maggioranza delle auto che intasano il traffico meknessino hanno targhe francesi, olandesi e qualcuna italiana. Non assomigliano per nulla alle FIAT ammaccate o alle meravigliose Mercedes grigie dagli interni ghepardati a cui siamo abituati qui a Meknès, sono piuttosto macchine sportive o famigliari di grossa cilindrata.

Sono tornati i Facans!

Vengono chiamati Facans gli emigrati che tornano per le vacances in Marocco. I connazionali residenti all’estero non vengono accolti a braccia aperte al ritorno in patria, prevale invece un senso di fastidio generalizzato nei loro confronti. E’ umano che irriti vedere, mentre aspetti da ore che passi un taxi collettivo che dovrai condividere con altre sei persone schiacciate una sull’altra come sardine, una Mercedes targata Olanda che sfreccia davanti a te con lo stereo a palla. In ogni caso continua a stupirmi quanto gli emigrati vengano denigrati proprio nel loro paese d’origine, soprattutto qui in Marocco dove la solidarietà sociale, e i soldi delle rimesse, sono l’unico antidoto all’inefficienza del Makhzen.

Ho sentito così tanti di questi termini in giro per il Mediterraneo che potrei scriverci un dizionario. In Turchia gli emigrati in Germania sono chiamati Almancı, tedescotti, gli si rimprovera di essere degli assimilati e di aver dimenticato le proprie origini turche. In realtà i turco-tedeschi che ho conosciuto sono persone per lo meno bilingui abilissimi nell’arte della mediazione tra codici culturali differenti.

I paesi del Mediterraneo Nord non sono da meno. Nella progressista Catalogna ho sentito tante volte chiamare i magrebini, los moros, come ai tempi della cacciata degli arabi dall'Andalusia nel 1492, però è proprio sulle spalle di moros, equadoreños, brasileños, paquistanos che si regge la scintillante Barcellona.

Per tornare al Marocco, un altro termine per delineare i confini della differenza è Gaurì. Il Gaurì è lo straniero bianco, ma anche chi ha solo un genitore marocchino. Non ho ancora capito se gaurì ha un’accezione dispregiativa o significa semplicemente straniero, in ogni caso, qui a Zeitun non ci chiamano gaurì, siamo semplicemente Talianin, gli Italiani, e questo mi fa piacere, significa che siamo riusciti ad integrarci almeno un po'.

Forse questa paranoia terminologica è il frutto della difficoltà di definire e quindi comprendere le identità nuove e plurali prodotte dalla migrazione. In fin dei conti basterebbe solo imparare ad accettarla questa molteplicità di appartenenze invece di ostinarsi a pretenderne l’omologazione e ad inventare termini per esorcizzarla.

martedì 15 luglio 2008

Sveglia

La mattina non abbiamo bisogno di mettere la sveglia. Ci pensano in tanti a farci capire che è ora di alzarsi; il venditore di pomodoripatatezucchine è in genere il primo che lancia l’idea, seguito dal robivecchi, che esorta a veeeennndereeetuttooooo anche se non è disposto a pagare molto…quando proprio siamo pelandroni, cioè tutte le mattine, il nostro amico Mohamed VI pensa bene di inviarci uno o due elementi della sua aviazione, che con i loro caccia F 16 o 17 o 18, passano qualche millimetro sopra le nostre teste, incrociandosi a volte con l’urlo del carrettiere - cocomeraro. Una sinfonia mattutina alla quale abbiamo ormai fatto il callo, cercando di riconoscere, con gli occhi ancora impastati di sonno chi vende cosa. Confesso però che i primi giorni mi sarei voluto alzare solo per rincorrerli con qualche oggetto contundente in mano. La forza dell’abitudine è anche qualcosa di meraviglioso.

sabato 12 luglio 2008

Partenze e arrivi

Il cartello dice testualmente “Per favore … immigrazione in canada”. Ora, se è una sigla per qualche ufficio o qualche organizzazione, mi chiedo a chi possa essere venuta in mente, fatto sta che pare che molti a Zeitun seguano il consiglio alla lettera ... o quasi.

Fatima è la nostra vicina di casa, la padrona del tetto dove io e Karin abbiamo vissuto il nostro primo mese a Zeitun. Fatima è divorziata, ha quattro figli, tutta la sua famiglia vive in Belgio. Lei ha ottenuto il visto con un matrimonio di convenienza e tra venti giorni parte con il figlio più piccolo.

Quando ancora il visto non era arrivato mi diceva che non vedeva l’ora di andarsene, ora che è sicura di partire, mi dice che vorrebbe rimanere … che in fondo si sta bene a Zeitun … si vive bene in Marocco.

Ieri sono andata dal Qa’id, il capo della circoscrizione, per sbrigare una faccenda legata al prolungamento del visto e ho incontrato il figlio grande di Fatima che consegnava tutto un incartamento per l’ufficio immigrazione … ha preso il Bac e vuole proseguire gli studi in Francia.

Alberto ha fatto due chiacchiere con uno dei ragazzi che lavorano dal kebabbaro vicino casa. Uno di loro, che si fa grasse risate ogni volta che parliamo in darija, ha ottenuto la green card, e tra un mese se ne parte per gli States.

Tre delle nostre ex-coinquiline seguono corsi di lingua .. francese, spagnolo, tedesco, per poter partire e fare anche loro un mariage en blanc.

Ma non c’è solo gente che parte…

Dall’inizio di luglio per le strade di Zeitun, accanto alle Fiat Uno- petit taxi e alle mercedes fine anni settanta grand taxi sono spuntate tante belle e nuove macchine dalle targhe esotiche … belghe soprattutto, ma anche francesi, tedesche… e due italiane. Il nostro amico Mohammed sostiene che molti emigrati che tornano al paese fanno di tutto per mostrare la loro nuova ricchezza, e magari spendono un sacco di soldi per affittare bei macchinoni scintillanti che in realtà non si possono permettere. Chissà…qualcuno forse.

Il ritorno degli zeitunesi europei sicuramente ha portato con sé nuove mode: mai viste fino a due settimane fa tante braccia scoperte per le strade del quartiere.

C’è chi parte e c’è chi arriva per poi ripartire, anche noi fra poco, anche noi di sicuro torneremo.

martedì 8 luglio 2008

Baciamano

Alla tv c’è il re che in costume tradizionale passa in rassegna una specie di truppa. Uno ad uno i soldati si inchinano un po’ e fanno come per baciargli la mano. Proprio mentre le labbra stanno per toccarlo, il re si tira indietro con uno scatto dolce e sempre uguale; gli unici che riescono a baciargli davvero la mano sono i più anziani del contingente. Quanto rispetto e quanti privilegi per i vecchi in Marocco.

Orientamento

Come fanno a sapere sempre da che parte sta La Mecca? Con il mio senso dell'orientamento sarei un pessimo musulmano.

domenica 6 luglio 2008

I guardiani di Zeitun

Ogni sera davanti casa nostra c’è grande vita. Da quando è arrivato il caldo verso le nove un signore si piazza con la sua sediolina proprio fra le due finestre delle nostra stanza. Fino alle due o alle tre chiacchiera amabilmente con qualche suo amico o con qualche studente fuorisede, in modo pacato ma costante, poi si mette a dormire, steso per terra, e la mattina scompare. I primi giorni pensavamo fosse in cerca di un po’ di frescura, ma ora che le notti meknessine non sono più così soffocanti lui è sempre lì, magari con l’aggiunta di qualche coperta. Ogni volta che chiudiamo le imposte ci viene da chiedergli qualcosa, chi è, perché sta lì, se ha una casa, perché una sera non si sposta 10 metri più in là…ma i misteri di zeitun non possono risolversi così. Ancora non abbiamo sciolto la questione di chi si cela di notte nel fiorino bianco parcheggiato di fronte casa. La nostra indagine ha portato finora ad un sospetto; il marito della roscia albina con bambino, nostra dirimpettaia, sembra coincidere con l’occupante del veicolo…chissà, di giorno grande armonia, di notte crisi coniugali? Forse non sopporta il pianto del pupo? O forse è solo uno dei tanti controllori del quartiere. Che anche l’uomo con la sedia svolga una funzione di ordine pubblico? Nel dubbio ci sentiamo davvero al sicuro…

I nostri tavoli o "kulluna bhal bhal"

Abbiamo tre tavoli in casa. Fino a stamattina ne avevamo solo due, due tavoli tondi e bassi in legno di cedro, tavoli nazionali sufficienti perché fino a dieci persone ci si siedano intorno a gambe incrociate e affondino le dita in una tajine. Li abbiamo ereditati dalla vecchia casa di Alberto e Andrea.

E oggi, dopo mille ripensamenti, riunioni d’appartamento e calcoli sulle nostre possibilità finanziarie, ci siamo decisi per il grande passo: un tavolo di plastica da giardino, con tre sedie. Le nostre schiene iniziavano a supplicare.

Lo abbiamo trovato al suq della domenica di Sidi Bou Skri, il quartiere che confina con Zeitun. Si trova di tutto al suq … dalle poltrone da dentista alle sedie a rotelle, dalle zappe alle ciotole di denti umani (!) … e poi naturalmente montagne di vestiti usati accanto a montagne di meloni ben ordinati. Per chi ha un attacco improvviso di fame ci sono i carretti di lumache in brodo o gli spiedini, per chi ha sete un the o una spremuta d’arancia.

Ma torniamo al nostro tavolo. Dopo vari giretti e comparazioni di prezzi ci siamo decisi per l’offerta del vecchio signore distinto in jallaba. Abbiamo chiesto il prezzo al ragazzino, colto alla sprovvista si è rivolto al papà o padrone sussurrando “Nasara” (Sono cristiani). Il vecchio indicando Alberto gli ha risposto : “Dak muslim (quello è musulmano). Ha poi rettificato: “e comunque non importa … kulluna bhal bhal(siamo tutti uguali)”, e c’ha fatto un buon prezzo. Che lezione di vita al suq di Sidi Bou Skri!

Grazie Harcha!

Quando siamo tornati da Essaouira alcuni vecchi amici ci hanno fatto una sorpresa…appena arrivati a casa ci hanno accolto calorosamente, correndo da destra a sinistra e da sinistra a destra. Gli inquilini più anziani della casa – Camilla, Alberto e Karin – se li ricordavano bene, e li hanno riconosciuti subito, festeggiando con una gran danza la loro presenza…salta di qua salta di là abbiamo messo fine ai salamelecchi e cominciato a fare un po’ di pulizie…il gioco è bello quando dura poco, diceva un andante mammesco… l’idea geniale comunque ce l’ha data il nostro caro amico Harcha, che si è proposto di aiutarci con qualche sua alitata qua e là a rimettere tutto a posto.

sabato 5 luglio 2008

Hallaq

Ieri mi ha fermato per la strada qui a Zeitun, il mio amico Zakaria, e mi ha detto: “quand’è che ti tagli quel barbone da islamista”, a volte mi dimentico dell’importanza del modo in cui ti tagli la barba nei paesi del Mediterraneo Sud.
In questi giorni ho passato troppo tempo a pensare alla francofonia in Marocco, alla riproduzione della élite e all’islamismo, e mi sono dimenticato del mio appuntamento del giovedì con il barbiere.
Ogni volta che decido di radermi, da sei mesi a questa parte, passo ore a pensare al mio nuovo look.
Quando stavo in Turchia, non ci facevo caso, tenevo la barba lunga dei frichettoni di Istanbul e nessuno pensava che fossi un islamista, un’amica mi raccontava che baffi e basettone negli anni settanta erano il segno distintivo dei militanti di Dev-Genç (Gioventù Rivoluzionaria), protagonisti del ’68 turco. La decisione è presa, basette e moustache alla Deniz Gezemiş.
Qui a Zeitun ho cambiato diversi barbieri prima di scegliere il mio hallaq di fiducia. Il primo da cui sono andato, appena arrivato a Meknès, è il più frequentato perchè si trova nella strada principale, vicino alla fermata dei taxi collettivi. Mentre mi godevo il massaggio facciale post-rasatura ho dato un’occhiata in giro. A parte il ragazzo che seguiva rapito un programma di cucina alla tv, mi ha colpito il ritratto sbiadito di Hassan II proprio sopra la mia testa. L’attuale re Mohammed VI, mi sta più simpatico perchè al contrario del padre ha sempre uno sguardo placido e sorridente... sebbene si diletti in costosi sport acquatici, mentre i miei amici vivono con una borsa di studio di 120 euro all’anno.
Il giovedì dopo sono capitato nel hallaq di Abdel Kader, un uomo sulla cinquantina dalla fiatella alcolica e la battuta pronta. Non ci sono ritratti di Hassan II appesi alle pareti, ma cartoline psichedeliche con il nome di Allah e ritagli di giornali con scene orientalegganti, il pezzo forte però è il feticcio appeso proprio sopra lo specchio, un medaglione di pelouche con una foglia di marijuana sormontata da un Arbre Magique fuxia. Io e Abdel Kader siamo daccordo su molte cose, Berlusconi non ci piace e Meknès è la città più chaâbi (popolare) del Marocco. Esco sfoggiando orgoglioso i miei nuovi baffetti. Anche se sembro più un cantate amazigh che un sessantottino turco sono contento lo stesso, non sembro più un islamista e ho trovato il mio hallaq ufficiale a Zeitun.

venerdì 4 luglio 2008

Il mio amico

Il mio amico si annoia quando parla qualcun altro. Mi piace questo modo di sbadigliarti in faccia senza provare a dissimulare il proprio tedio. Vorrei che fosse un tratto caratteristico della sua personalità, ma temo che sia solo una differenza di costume.

Acima

Una settimana fa a Zeitun ha aperto il primo supermercato, si chiama Acima; ieri sera, siccome c’era il mio amico a cena, sono andato a comprare l’alcol, che quando sei qui non è più birra, vino, rhum o tequila ma è solo e soltanto alcol, roba forte, da nascondere in buste di plastica nera. Varcata la soglia delle mura stavo per essere travolto da un fiume di persone che attendevano di entrare da Acima; elegantissime guardie controllavano la fila straripante. Sono sicuro che c’è chi ha passato la notte davanti alla porta per poter essere il primo ad entrare stamattina; anche io per un attimo ho pensato che sarebbe stato bello entrare da Acima. Poi sono andato a comprare l’alcol da Marjane, che è un supermercato che si trova nel quartiere Marjane. Ora penso solo che sarebbe bello se Zeitun non diventasse mai il quartiere Acima.

Younes e l'acqua

A Meknès, anzi a Zeitun, l’acqua non esce dai rubinetti dalle undici di sera alle sette di mattina. Younes l’epicier dà due spiegazioni a questo razionamento, non capisco se sono alternative ed io devo scegliere quella che mi convince di più o se sono due cause che per coincidenza si sommano. La prima, più comprensibile, è che c’è un problema di contaminazione dell’acqua, una tubatura rotta, una cisterna infiltrata. La società dell’acqua sta facendo dei lavori e interrompe l’erogazione in determinati orari. La mattina l’acqua esce torbida, nel pomeriggio è apparentemente più limpida. Per dimostrarmene la potabilità, Younes mi chiede di passargli uno dei bicchieri che usa per la spremuta d’arance (1 dirham al bicchiere!), lo riempie con dell’acqua del rubinetto che tiene in frigo, da lui stesso appena imbottigliata, e mi invita a berla. La seconda spiegazione è che il governo vuole cambiare le abitudini dei propri cittadini … che la smettano di bivaccare, stare in piena attività fino alle tre, le quattro di notte per poi svegliarsi non prima di mezzogiorno, dell’una. Se gli si toglie l’acqua alle undici, magari per mezzanotte sono tutti a letto e riescono a svegliarsi per le sette e mezza - otto …. Come gli europei o i cinesi! Younes è un genio! Chissà se se le inventa lui queste storie … o il suo vicino o se è semplice saggezza di Zeitun! L’acqua è proprio il suo cavallo di battaglia. Notavo quanto si sta bene oggi a Meknès, fa freschetto, un bel venticello. Younes sostiene che l’estate è sempre così a Meknès, che Meknès ha il miglior clima del Marocco … e le acque più pure!!! Potrebbe continuare a parlarmi d’acqua per ore ma io devo scappare, Alberto ha fatto il Ragù e le tagliatelle stanno per scuocersi...

acque minerali in marocco

Una recente ricerca ha stabilito la classifica di purezza delle acque minerali marocchine; poche sorprese sul risultato: sidi ali ha sbaragliato la concorrenza, l’acqua del signor alì, proposta al pubblico di europei intimoriti dal rubinetto e dalla caraffona in una sobria e classica bottiglia senza fronzoli, ha un gusto sincero; da grande utilizzatore di acqua in bottiglia devo ammettere che in più di una occasione, quando la mia conoscenza dell’arabo marocchino era ancora limitata (ora invece potrei contrattare sul prezzo di una capra da monta) sidi ali mi ha salvato la vita, fungendo da surrogato del concetto stesso di bottiglia d’acqua, un po’ come kleenex per fazzoletti, o, per i francophones, mobilette per motorino. L’unico a non capire questa funzione della sidi ali sembra essere Younes l’epicier, che guarda caso è anche il solo commerciante di zeitun a non parlare una parola di francese; quando gli si chiede una sidi ali e lui non ce l’ha, invece di darmi una qualsiasi altra acqua comincia a snocciolare tutte le marche che affollano il suo frigorifero: sidi arazem (che purtroppo non è sul podio delle migliori) ain saiss, ain soltan e via dicendo… ain soltan è arrivata seconda; marca in grande ascesa ha puntato sul design per cercare di avvicinare l’inavvicinabile sidi ali; bottiglia ergonomica, grafica accattivante, colori vivaci; è buona, non c’è che dire, e la distribuzione sta facendo passi da gigante. Medaglia di bronzo per ain saiss; il marchio danone fa bella mostra di sé, e questo mi dà un po’ fastidio; ultimamente ha applicato una aggressiva politica di marketing, proponendosi ad un prezzo concorrenziale stampato sull’etichetta. Younes l’epicier me lo spiega ogni volta; sembra molto preoccupato quando per caso mi vende una bottiglia di una partita sulla quale non c’è lo sconto; non c’è modo di fargli capire che non c’è problema: mi deve far notare se sto pagando 4 oppure 5 dhiram (30 o 40 centesimi di euro) e motivare con la sua asciutta prosopopea incomprensibile il perché di questa abissale differenza. L’altra sera, colpiti alla sprovvista dalla mancanza di acqua a zeitun sono andato per comprarne un po’ ed è finalmente riuscito a vendermi il bottiglione da 5 litri di ain saiss, facendomi notare, calcolatrice alla mano, quanto stavo risparmiando. Ecco, l’unica nota positiva per ain saiss è che è l’acqua che più di tutte fa parlare Younes, e gli fa fare gesti assai divertenti.