venerdì 27 marzo 2009

Battaglie quotidiane

Amina ha 25 anni e da cinque anni lavora come "operatrice sociale" con ragazzi handicappati e autistici. Guadagna 2000 dirham al mese (neppure 200 euro). Ha due fidanzamenti finiti nel nulla alle spalle: la prima volta il futuro marito se n'è partito per il Belgio, la seconda volta ha scoperto che il futuro marito non aveva i mezzi per comprarsi una casa e che avrebbero dovuto vivere con la famiglia di lui. Lei si è rifiutata raccontadomi il grado di sfruttamento e di intrusione esercitato dalle suocere marocchine in generale. Scopro così che i marocchini sono ancora più mammoni degli italiani (non pensavo fosse possibile). Mi racconta che da quando ha iniziato a lavorare ad oggi non è ancora stata messa in regola, non ha "papiers", non ha un'assicurazione medica sul lavoro, men che meno un diploma che attesti le varie formazioni che ha svolto negli anni. Ieri una sua collega è finita all'ospedale dopo che uno dei ragazzi autistici le aveva strappato la pelle della mano a forza di morsi. La famiglia del ragazzo ha messo 50 dirham in mano ad Amina dicendole di darli alla sua collega. Peccato che con 50 dirham la ragazza non possa pagarsi neppure il filo con cui le hanno messo i punti. Amina s'incazza, mi dice "Chi me lo fa fare di rimanere qua? In Italia per il lavoro che faccio, la fatica quotidiana che mi costa il mio lavoro, avrei sicuramente uno stipendio decente e un'assicurazione che mi protegge..." Mi dice che vorrebbe raccogliere i suoi colleghi e i genitori dei ragazzi per manifestare davanti al suo capo per chiedergli la regolarizzazione del loro lavoro, ma che ha troppa paura che la licenzino, e senza un diploma in mano, non troverebbe nessun altro lavoro. Finalmente ho davanti agli occhi una ragazza che merita di essere definita una femminista marocchina.

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