sabato 26 luglio 2008

Facans

Quando sono arrivato in Marocco cercavo di capire di quale città fosse la macchina che mi passava davanti guardando la lettera araba riportata sulla targa, alla fine annoiato dal gioco, ho smesso di farci caso.

Negli ultimi giorni però è diventato più facile capire l’origine delle automobili. La stragrande maggioranza delle auto che intasano il traffico meknessino hanno targhe francesi, olandesi e qualcuna italiana. Non assomigliano per nulla alle FIAT ammaccate o alle meravigliose Mercedes grigie dagli interni ghepardati a cui siamo abituati qui a Meknès, sono piuttosto macchine sportive o famigliari di grossa cilindrata.

Sono tornati i Facans!

Vengono chiamati Facans gli emigrati che tornano per le vacances in Marocco. I connazionali residenti all’estero non vengono accolti a braccia aperte al ritorno in patria, prevale invece un senso di fastidio generalizzato nei loro confronti. E’ umano che irriti vedere, mentre aspetti da ore che passi un taxi collettivo che dovrai condividere con altre sei persone schiacciate una sull’altra come sardine, una Mercedes targata Olanda che sfreccia davanti a te con lo stereo a palla. In ogni caso continua a stupirmi quanto gli emigrati vengano denigrati proprio nel loro paese d’origine, soprattutto qui in Marocco dove la solidarietà sociale, e i soldi delle rimesse, sono l’unico antidoto all’inefficienza del Makhzen.

Ho sentito così tanti di questi termini in giro per il Mediterraneo che potrei scriverci un dizionario. In Turchia gli emigrati in Germania sono chiamati Almancı, tedescotti, gli si rimprovera di essere degli assimilati e di aver dimenticato le proprie origini turche. In realtà i turco-tedeschi che ho conosciuto sono persone per lo meno bilingui abilissimi nell’arte della mediazione tra codici culturali differenti.

I paesi del Mediterraneo Nord non sono da meno. Nella progressista Catalogna ho sentito tante volte chiamare i magrebini, los moros, come ai tempi della cacciata degli arabi dall'Andalusia nel 1492, però è proprio sulle spalle di moros, equadoreños, brasileños, paquistanos che si regge la scintillante Barcellona.

Per tornare al Marocco, un altro termine per delineare i confini della differenza è Gaurì. Il Gaurì è lo straniero bianco, ma anche chi ha solo un genitore marocchino. Non ho ancora capito se gaurì ha un’accezione dispregiativa o significa semplicemente straniero, in ogni caso, qui a Zeitun non ci chiamano gaurì, siamo semplicemente Talianin, gli Italiani, e questo mi fa piacere, significa che siamo riusciti ad integrarci almeno un po'.

Forse questa paranoia terminologica è il frutto della difficoltà di definire e quindi comprendere le identità nuove e plurali prodotte dalla migrazione. In fin dei conti basterebbe solo imparare ad accettarla questa molteplicità di appartenenze invece di ostinarsi a pretenderne l’omologazione e ad inventare termini per esorcizzarla.

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